Anche quest’anno la Carovana della Pace, tradizionale evento organizzato da numerose associazioni del territorio cuneese, è partita dalla città di Cuneo per arrivare a Boves. Partecipata, colorata e allegramente rumorosa, la Caraovana è stata aperta da una serie di interventi. Tra questi, anche quello di Franco Monnicchi, che ha preso la parola a nome di Emmaus Italia, che riportiamo qui sotto:
«Buongiorno a tutti. Innanzitutto ringrazio don Flavio e gli organizzatori della Carovana per avermi invitato. Io faccio parte di Emmaus Italia, un movimento fondato dall’Abbé Pierre e formato da poveri che aiutano altri poveri in ogni parte del mondo.
Soprattutto in questo periodo storico, sono sempre più importanti iniziative come quella di oggi, così come il lavorare per la giustizia e per la pace. Viviamo in un mondo di semplificazioni orribili, ci nutriamo sempre più di schemi preconcetti e ci affanniamo a cercare – in particolare negli altri e tra i più poveri e i più sofferenti – la causa e la minaccia al nostro benessere, la ragione delle nostre frustrazioni; e ancor più se i poveri hanno un differente colore della pelle e provengono da Paesi con cultura e religione diverse dalle nostre.
Questo approccio ci rende ciechi, e non solo non ci aiuta a comprendere meglio i fenomeni, le criticità e le loro cause, ma, al contrario, ha l’effetto di aggravare e di non affrontare con la giusta consapevolezza, razionalità e competenza situazioni che andrebbero gestite e governate con saggezza e lungimiranza.
Il fenomeno della migrazione è irreversibile, non è possibile arrestare il flusso di persone che scappano dalla miseria e dalla disperazione. Non possiamo pensare di risolvere il problema rimuovendolo e respingendo gli individui verso ulteriori e più gravi situazioni di rischio, di violenza e di morte (come sta purtroppo accadendo oggi verso la Libia), favorendo in questo modo ancor più i trafficanti di esseri umani.
Vorremmo che le persone non fossero costrette ad attraversare deserti, essere torturate, violentate, sfruttate e obbligate a rischiare la vita per varcare i confini. Vorremmo non vivere lo scandaloso paradosso di istituzioni che, invece di riconoscere la propria inadeguatezza e ringraziare per il prezioso contributo le ONG che salvano vite in mare, umiliano queste ultime costringendole a sottostare a codici e regole come si trattasse di criminali; istituzioni che chiamano ipocritamente lotta al traffico di esseri umani ciò che è, nei fatti, una politica di respingimento e di morte che questo stesso traffico alimenta.
Si attaccano sempre più le realtà organizzate, e in particolare le persone ‘colpevoli’ di aiutare il prossimo, di dargli un tetto, un pasto: pensate alle situazioni di Ventimiglia e della Valle Roya, dove sono criminalizzati coloro che aiutano e sostengono i migranti.
La solidarietà fa paura perché, se fatta bene, mette a nudo le contraddizioni di un sistema ingiusto giunto ormai al fallimento. Un sistema che crea le migrazioni, che costringe a migrare; un sistema storico di sfruttamento, di colonialismo e di neocolonialismo che ha dilapidato e sta dilapidando le risorse di molti dei Paesi dai quali i migranti scappano; un sistema che favorisce – come nel caso dell’Italia – il commercio delle armi e lo scoppio di guerre da cui sono costretti a fuggire milioni di rifugiati. Pensate solo alla Siria o allo Yemen, o al dramma delle tante, troppe guerre combattute per l’interesse dei nostri Paesi occidentali; un sistema al servizio di pochi speculatori che hanno in mano la maggior parte delle risorse del pianeta grazie a una finanza speculativa criminale a loro asservita.
Se noi qui oggi non vogliamo rischiare di celebrare in modo retorico una pace astratta, credo sia importante denunciare tale sistema: vorremmo che l’Italia, l’Europa e le loro classi politiche si facessero carico delle proprie responsabilità, mettendo in atto scelte sensate e di speranza invece di rincorrere posizioni di disperazione e di egoismo irrazionale.
Io penso che da questa situazione non se ne venga fuori se non si ha il coraggio di affrontare i problemi – e le loro cause – nella loro semplice complessità. Non ci sono scorciatoie: o ragioniamo in termini globali o non ci sarà via d’uscita. La semplificazione e il razzismo non sono la soluzione, così come dare credito a chi fa delle identità nazionali il proprio vessillo e la propria giustificazione per politiche di respingimento e di morte che non hanno futuro. Una società arroccata sul principio del razzismo e della chiusura genera solo conflitti e sofferenze e non risolve i problemi: al contrario, ci rende tutti più vulnerabili, poveri e insicuri. E a chi parla di identità cristiana da difendere contro ogni altra religione o cultura, vorremmo ricordare che alla base del messaggio di Gesù e del Cristianesimo ci sono l’accoglienza, la solidarietà, la tolleranza e la non violenza: tutte cose che non hanno niente a che fare con la demagogia nazifascista di gruppi identitari, integralisti e razzisti di ogni sorta.
C’è bisogno di uno sforzo collettivo, culturale e concreto, che metta al primo posto la lotta alla miseria di qualsiasi persona, non la lotta ai poveri; ciò implica anche la sobrietà negli stili di vita, così come la messa in atto di un lavoro volto alla costruzione della giustizia sociale e della condivisione comunitaria. Insomma, bisogna costruire un movimento dal basso che metta al primo posto la lotta alla miseria e alle sue cause.
Ecco, dovremmo partire da lì, continuando a fare rete per resistere ma, soprattutto, per costruire una speranza di futuro per tutti.
Come Emmaus Italia organizzeremo a Torino, il 14 e 15 ottobre prossimi, una iniziativa che va proprio in questo senso: un evento che vedrà coinvolte persone, realtà e associazioni che intendono collaborare insieme per portare avanti questo impegno e questi valori. Siete naturalmente tutti invitati.
Vi ringrazio per l’attenzione e buona marcia!»