Riportiamo qui di seguito la risposta del direttore di «Avvenire» Marco Tarquinio, che ha accolto sull’edizione online del suo giornale l’appello di Franco Monnicchi relativo alla strage continua che si sta consumando nel Mediterraneo. Ci auguriamo che lo scambio di opinioni su questo tema così cruciale sia in grado di suscitare l’attenzione che merita nell’opinione pubblica e nelle istituzioni.
Caro direttore,
senso di impotenza e di colpa, rabbia e dolore sono i sentimenti che stiamo provando per la continua ecatombe di donne, uomini e bambini che stanno morendo nel Mediterraneo. Non ci sono più parole, analisi, concetti e riflessioni da fare: tutto è stato già detto, sviscerato, approfondito e tutti conosciamo bene le cause profonde di quanto sta accadendo, gli interessi, le ambiguità, le ipocrisie di chi questa situazione la crea, la alimenta e la strumentalizza. Ma poi? Non può più bastare la commozione, l’ipocrita commiserazione per altri bambini vittime innocenti e la disponibilità ad adottare gli orfani di questa tragedia; bisogna imporre la giustizia e agire affinché altri genitori e altri figli non periscano per i nostri egoismi e per il profitto di pochi. Agire sì, ma come? Abbiamo accolto, costruito reti, fatto appelli insieme alle istituzioni locali, nazionali e internazionali a tutti i livelli per far comprendere che è necessario aprire le frontiere e permettere la creazione di «corridoi umanitari».
Abbiamo chiesto di smettere di produrre e di vendere armi soprattutto ai Paesi in conflitto; di interrompere lo sfruttamento insaziabile delle risorse e delle materie prime dei Paesi più poveri del Pianeta; di finirla con il cinico appoggio a favore di governi e dittatori corrotti; di combattere la finanza speculativa. Abbiamo chiesto a gran voce di redistribuire le ricchezze e di investire in piani sociali davvero inclusivi. Per tutta risposta si continua a sostenere la militarizzazione dei nostri confini con Frontex e con tutte le altre agenzie europee, arrivando a inventarci le prigioni hotspot che implicano oltretutto uno spreco e una distrazione di risorse pubbliche enormi, più utilmente utilizzabili a beneficio di tutti e per una accoglienza dignitosa.
Addirittura l’Europa toglie dal patto di stabilità – con la scusa del terrorismo – il commercio delle armi invece che la spesa sociale. Tutto questo ci sembra contrario al buonsenso, alla giustizia e al bene comune. Facciamo quindi appello a tutti affinché non prevalgano l’indifferenza, l’ipocrisia e l’assuefazione, e chiediamo a tutti di impegnarsi nel promuovere e sostenere tutte le azioni nonviolente, legali e non, per cercare di cambiare la situazione attuale e non essere più complici di questo assurdo genocidio. Abbé Pierre ce lo ha insegnato: «Piuttosto che gli uomini muoiano legalmente, preferisco che vivano illegalmente».
Franco Monnicchi
Presidente di Emmaus Italia
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Condivido tutto, caro presidente Monnicchi, sino all’ultima riga. L’appello di Emmaus Italia a sconfiggere civilmente i responsabili della tratta degli esseri umani attraverso il Mediterraneo e della ormai sistematica strage dei più poveri, deboli e disperati è ragionevole e coinvolgente per chiunque, comunque creda e comunque la pensi purché pensi davvero e abbia coscienza. Ma per noi cattolici è anche molto di più: è puro Vangelo, antica e vera sapienza cristiana, salda dottrina oltre che slancio del cuore. Ha in sé, infatti, le parole e nei gesti di papa Francesco, echeggia le scelte accoglienti dei nostri vescovi e dei nostri preti, avvolge come le braccia aperte di tante comunità cristiane. Dissento solo su un punto che so bene essere non marginale: la disponibilità a mettersi contro le regole per tutelare il diritto alla vita e alla felicità di ogni uomo, anche migrante. E dissento non per principio (il bene necessario può infatti risultare lontano o addirittura negato dalla legge positiva), ma per princìpi (che il bene necessario affermano) e che perciò non vanno affatto disubbiditi, bensì finalmente attuati.
Mi spiego meglio: non c’è bisogno, qui e ora, di evocare azioni illegali, seppure non violente, di fronte allo scandalo infinito. In Italia e in Europa – non mi stancherò mai di ripeterlo – non siamo affatto costretti a violare la legge per praticare la via dell’umanità e della giustizia, tutt’altro. A parte qualche euronorma stupida e stranamente inscalfibile, come quella che inchioda al non-lavoro le persone in attesa di risposta dopo una domanda d’asilo, il nostro sistema è seriamente orientato a rispondere a esigenze di giustizia. E allora si faccia. Si riporti l’integrale gestione del fenomeno migratorio sotto l’imperio della legge italiana ed europea, dentro la magnifica cornice dei diritti fondamentali della persona umana richiamati dalla nostra Costituzione repubblicana, nel solco dei princìpi stabiliti dalle Carte che fondano l’idea stessa di una Comunità dei popoli europei, nella luce dei grandi Trattati e Convenzioni internazionali che negli anni abbiamo scritto e sottoscritto e che, via via, liberamente e convintamente, abbiamo ratificato. Sarà allora chiaro, ma per la verità è chiaro anche adesso, che fuorilegge – e complici dei peggiori sfruttatori e persecutori – sono in realtà coloro che si auto-bandiscono dalla legalità perché predicano la «clandestinità» come reato e come condizione imposta, per diktat, a uomini e donne stranieri potenzialmente irregolari semplicemente perché vengono loro negate vie regolari di fuga e di migrazione dalla guerra e dalla miseria (i «corridoi umanitari», i «flussi» che aiutano a incrociare domanda e ricerca di lavoro).
Veri e propri banditi – e al limite, e oltre, della denuncia per crimini contro l’umanità – sono, poi, coloro che vorrebbero bandire a prescindere i richiedenti asilo: non si può, proprio non si può, se non sfidando le leggi di Dio e dell’uomo che hanno costruito la nostra civiltà. E, infine, non fuori legge, ma fuori di senno, perché persi in un delirio smemorato e odioso, sono tutti coloro che arrivano a trasformare in preteso marchio di infamia persino l’espressione «migranti economici», e questo in un Paese come il nostro che, negli ultimi centocinquant’anni, ha dato (e ancora dà) milioni e milioni e milioni di «migranti economici» a tutto il mondo.
Ho aggiunto anche troppe considerazioni. Ma un ultimo promemoria mi pare utile. Straniero non è sinonimo di nemico. Così come migrante non lo è di stupratore. Profugo non è l’altro nome di terrorista. Affamato non vuol dire fannullone. E povero non significa ladro. Non più di quanto tutto questo – nemico, stupratore, terrorista, fannullone e ladro – venga detto con la parola italiano o francese o inglese o tedesco… Gli uomini e le donne sono ciò che portano in cuore, le relazioni che intessono e gli atti che concretamente compiono, non le etichette che appiccichiamo sulla loro pelle e le scatole nelle quali li rinchiudiamo. Continuo a credere che la gran parte dei miei concittadini lo sappia già, e non se ne dimentichi. Ma mi rendo anche conto che nulla è più scontato, vista la continua, martellante semina politico-mediatica del sospetto xenofobo, propaganda che spinge a non ascoltare e a non vedere altro se non ciò che motiva paure, dubbi e risentimenti. Ma basta alzare gli occhi e tendere l’orecchio alle terribili fatiche delle migrazioni a rischio di morte e di ogni umiliazione per non essere più lasciati in pace da un benedetto «senso di impotenza e di colpa», da un sacrosanto sentimento di «rabbia e dolore». Che sia il “coro” dei nostri gesti accoglienti e perfettamente legali, caro presidente Monnicchi, che risveglia l’Europa e spazza via i nuovi costruttori di muri e d’indifferenze e gli eterni spacciatori di armi, di odio e di disumanità.
Marco Tarquinio