Siamo al 27 gennaio: “Giornata della memoria” e ancora oggi ci sarà qualcuno che dirà: ”Non è vero non è successo”.
C’è chi si domanda perché persistano ancora l’antisemitismo e il razzismo. Possiamo dire che non sono mai spariti.. al contrario delle vittime che mietono dietro il velo del silenzio e dell’indifferenza. Purtroppo, anche attualmente, sempre più spesso, questi vuoti ideali vengono usati anche per scopi politici, per creare un nemico che non esiste. Forse è anche colpa nostra che seppur gridiamo contro gli orrori della guerra non lo facciamo fino in fondo, evitiamo di agire, ci arrendiamo all’amarezza chiudendoci sempre più in noi stessi, guardando il nostro cortile, sempre più bello degli altri, giudicando gli errori del nostro vicino ma senza guardare dentro noi stessi in quanto responsabili di ciò che lasciamo scorrere.
Questo tipo di atteggiamento, alimentato dai cosiddetti governanti e dittatori che detengono il potere dell’informazione, scatena poi conflitti infiniti e sanguinosi che quando hanno inizio vengono alimentati da armi e denaro per far in modo che non abbiano una fine, creando in un contesto mondiale intolleranza e razzismo.
L’inganno del possesso e della conquista ci porta a una condizione di passività. L’inganno di stare così preservando la propria tranquillità, una tranquillità sporca di sofferenza, di finto progresso, ci porta a perdere in realtà la possibilità di agire e mettere un punto ad una storia abbandonata in un circolo vizioso di atrocità, vergogna e menzogne.
Continuiamo a ricordare e a far ricordare alle generazioni future che gli orrori della Shoah sono esistiti, che donne e uomini sono stati marchiati con una matricola sull’avambraccio per non essere più esseri umani ma numeri senza valore, dignità né futuro.
E qui, in fondo, ricordiamo e gridiamo, con un grido fermo e non con un grido flebile per paura di essere giudicati, che la pace, quella vera, si fa con l’accoglienza e senza le armi, senza conflitto né ricerca di interessi, lasciando al di là del nulla che ci opprime il nostro “io” accogliendo, ascoltando e tendendo la mano all’altro, consapevoli che si tratti di un unico cortile in cui vivere, umanamente giusti.
Per le comunità Emmaus italiane
Massimo Resta